Guido Gozzano, i poeti dei fiori

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Guido Gozzano, Il Glicine

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Il glicine

Sui gradini consunti, come un povero mendicante mi seggo, umili corde:
o Casa, perché sbarri con le corde di glicine la porta del ricovero?
La clausura dei tralci mi rimorde l’anima come un gesto di rimprovero:
da quanto tempo non dischiudo il rovero
di quei battenti sulle stanze sorde!
Sorde e gelide e buie… Un odor triste è nell’umile casa centenaria
di cotogna, di muffa, di campestre…
Dalle panciute grate secentiste il cemento si sgretola se all’aria
rinnovatrice schiudo le finestre.

Il profumo di glicine dissìpi l’odor di muffa e di cotogna.
Sotto la viva luce palpiti il salotto!
E il mio sogno riveda i suoi princìpi nei frutti d’alabastro sugli stipi
– martirio un tempo del fanciullo ghiotto –
nei fiori finti, nello specchio rotto, nelle sembianze dei dagherottipi.

O casa fra l’agreste e il gentilizio, coronata di glicini leggiadri,
o in mezzo ai campi dolce romitaggio!
Fu bene in te, che, immune d’artifizio,
serenamente il padre di mio padre visse la vita d’un antico saggio!